Biréli Lagrène: l’eredità vibrante del genio gitano
C’è una leggenda che aleggia nei sentieri meno battuti della musica: quella di un ragazzo che, ancora prima di parlare correntemente, aveva già appreso il linguaggio segreto della chitarra. Se ti fermi ad ascoltare certi assoli di Biréli Lagrène, puoi quasi vederlo: un bambino a piedi nudi nei campi d’Alsazia, intento a trasformare il legno e il metallo in pura magia sonora.
Nato nel 1966 a Soufflenheim, in una famiglia Manouche dove la musica di Django Reinhardt era più una lingua madre che una passione, Biréli ha preso in mano la chitarra come si prende fiato: per necessità vitale. A soli quattro anni strimpellava con naturalezza linee melodiche complesse, e a sette anni già incantava chiunque avesse la fortuna di ascoltarlo. Il suo primo album, Routes to Django (1980), lo proiettò istantaneamente nell’olimpo dei prodigi, ma sarebbe stata solo la prima tappa di un viaggio molto più lungo e profondo.
Il suono di Biréli Lagrène è un ponte sospeso tra la tradizione e l’ignoto. Il ritmo gitano pulsa in ogni sua nota, ma è come se avesse infuso nel gypsy jazz un’elasticità nuova, assorbendo i colori del bebop, la libertà del jazz fusion, l’eleganza del mainstream. La sua voce musicale è un caleidoscopio: una corsa veloce sui battiti, una carezza sulle armonie più intime. Sentirlo improvvisare è come ascoltare un fiume che conosce ogni anfratto della sua corrente.
Per quanto riguarda la strumentazione, Biréli ha usato chitarre Yamaha per molti anni, ma ha sempre amato anche le Gibson archtop: tra le sue preferite una Gibson ‘Johnny Smith’, una Super V e una ‘Wes Montgomery’ L-5 CES. Per il gypsy jazz, ha utilizzato una chitarra Dupont. Nei tour ha talvolta suonato anche una Gibson Super V e una Le Grand. Come amplificatori, predilige i DV Mark, scoperti durante un concerto con Giuseppe Continenza, e da allora adottati per il loro suono caldo e definito.
Gli incontri nella sua carriera sono stati come scintille che accendono nuove costellazioni: da Stéphane Grappelli ad Al Di Meola, da Jaco Pastorius a John McLaughlin. Ognuno ha aggiunto un colore, ma Biréli ha sempre mantenuto il suo timbro unico, riconoscibile come un’impronta.
Se il suo apporto pedagogico non si traduce in manuali o trattati, è la sua musica stessa a essere una scuola: un invito implicito a superare gli steccati di genere, a suonare con il cuore tanto quanto con la mente. Ascoltarlo è una lezione di libertà.
Oggi, più che mai, il mondo jazzistico riconosce in Biréli Lagrène un simbolo vivente di continuità e rinnovamento. Non è solo uno straordinario interprete della tradizione gitana: è un innovatore silenzioso, un poeta che racconta nuove storie con una voce antica.
Qui puoi ascoltare Biréli Lagrène come se fosse la prima volta. Chiudendo gli occhi, immaginando le dita leggere come piume che solcano corde tese fra cielo e terra.
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Discografia essenziale
- Routes to Django (1980) – Con vari ospiti europei del gypsy jazz. Uno sfolgorante esordio: radici manouche, sguardo aperto al futuro.
- Swing ’81 (1981) – Trio in stile Django, tecnica fenomenale, spirito giovane.
- Live at the Carnegie Hall (1984) – Con Larry Coryell e Philip Catherine. Chitarre in dialogo serrato, elettricità e intesa palpabile.
- Standards (2002) – Interpretazioni mature e raffinate dei grandi classici jazz.
- Djangology (2006) – Un ritorno alle radici, con la consapevolezza di un grande narratore.
A cura di Manuel Consigli
per La Via della Chitarra Jazz
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