Julian Lage, cosa lo rende unico, tra migliaia di chitarristi jazz professionisti tecnicamente e artisticamente preparatissimi?

Sia chiaro, ogni chitarrista ha la sua voce particolare. Dal cugino che in spiaggia attacca la Canzone del Sole, al mito inarrivabile (ciascuno di noi ha il suo, inutile fare nomi) ogni musicista è unico. Però quando si alza il livello, la peculiarità diventa Arte. Il lirismo di Pat Metheny, il controllo delle voci nell’armonia di Jim Hall o Ted Greene, il fraseggio dissonante e pur poetico di John Scofield, il tiro di George Benson, la velocità di Bireli Lagrene… e così via. Si possono intavolare discussioni infinite tra appassionati sulle caratteristiche di ciascuno di loro. E Julian Lage? Quale caratteristica lo rende unico e riconoscibile tra i molti?

Storia e formazione

Julian Lage è nato in California il giorno di Natale del 1987. Il papà è un chitarrista dilettante, e regala al piccolo Julian una Telecaster di compensato, un giocattolo che non suona (vedi foto a sinistra), ma che rimane incollata tra le dita del piccolo musicista fino a quando viene sostituita da uno strumento vero. La chitarra giocattolo resta appesa alla parete della cameretta (pare che sia ancora al suo posto in casa Lage), e Julian impara presto a far vibrare corde vere. A sette anni si esibisce già come un professionista.

Jules at Eight

Il regista Mark Becker nel 1996 gira un film documentario sul bambino prodigio: Jules at Eight. Quattro anni dopo, Julian ha 12 anni e si esibisce alla cerimonia dei Grammy Awards. I genitori lo proteggono, non vogliono che la ricerca del successo gli porti via la spensieratezza che deve avere un ragazzino. Il talento così ha il tempo per essere coltivato con calma, senza l’urgenza e la prepotenza che certo showbusiness impone. Lage studia musica classica al Conservatorio di San Francisco, e jazz al Berklee College of Music di Boston, dove ha come insegnante Gary Burton.

«Julian Lage, un ragazzo molto precoce»

Gary Burton, mitico vibrafonista, coinvolge Lage nel suo gruppo per esibizioni live e registrazioni di album (Generation, 2004, Next Generation, 2005, e poi Common Ground, 2011 e Guided Tour, 2013). Neanche maggiorenne, Lage è già nel gotha del jazz mondiale. Nel 2012, durante un workshop a Bologna, prima di quello che sarà il suo ultimo concerto in Italia, a Jim Hall qualcuno chiese chi fossero i chitarristi di nuova generazione da tenere d’occhio. Il maestro fece solo un nome: Julian Lage. «L’ho incontrato a Berkeley, in California, quando aveva circa 11 anni», ha raccontato Hall. «È venuto al club dove suonavo con la sua famiglia, e l’ho sentito perché nel backstage e si è messo a suonare la mia chitarra. Era come… non voglio dire un genio, ma un ragazzo molto precoce».

Sounding Point

Sounding Point, del 2009, è il suo primo disco da leader, nel quale dice di aver messo tutte le idee musicali che ha accumulato negli anni precedenti, che non erano poche nonostante avesse solo 22 anni… In quel disco suona una chitarra archtop costruita dalla mitica liutaia Linda Manzer. Da lì in poi ogni album è una sorpresa. Avalon (2014) e Mount Royal (2017) sono in duo con Chris Eldrige: suonano entrambi Martin degli anni ’30 e hanno definito i dischi come “una lettera d’amore per la chitarra acustica”. La passione per l’acustica trova sfogo anche nel disco in solo World’s Fair, nel 2015. Poi sono arrivati gli album più elettrici, Arclight (2016), Modern Lore (2018) e Love Hurts (2019), dove Lage suona chitarre solid body, una GretchDue Jet e una Telecaster del 1954, un ritorno al primo amore infantile…

Una seconda minore come fuzz

«Il mio set ideal è fatto solo da una chitarra elettrica e un ampli poco potente, come un vecchio Fender Tweed, o il Gibson BR-& degli anni Cinquanta che ho usato in Love Hurts», ha spiegato Lage. «Questi ampli sono in grado di esaltare ogni cambiamento nel tocco, così sento di avere una forte connessione tra il modo in cui suono la chitarra e quello che esce dall’ampli. Se pesto è più grintoso, se non lo faccio è più limpido. In una situazione live, dove mi servono ampli più potenti, uso dei pedali che li facciano rispondere come uno piccolo. Ma se c’è un modo per ottenere lo stesso effetto con il tocco, senza pedale, lo faccio così, perché è così che ho imparato. Sono cresciuto pensando che se vuoi che cambi qualcosa nel tuo suono, devi cambiare il tuo tocco o la tua tecnica. Ci sono anche strade per cui l’armonia stessa può influire sul suono. Per esempio, se vuoi “accendere” il fuzz, basta suonare una seconda minore…» e il suono si distorce.

Scoperta o conquista

L’attenzione di Lage per la strumentazione, e la ricerca per controllare il suono con un set minimalista, rivela un tratto fondamentale della sua musica: è più una scoperta che una conquista. Lage si lascia ispirare dal suono della chitarra che sta suonando, dalle note che si seguono l’un l’altra, ogni accordo chiama il successivo. Guida lo strumento, cerca il suo limite, sfrutta le caratteristiche specifiche. «Con la Tele devo rallentare più che con qualsiasi altra chitarra», ha detto, per esempio. «Se vado alla velocità cui sono abituato, è come se la chitarra si spegnesse. La Tele è come un maestro che mi invita a trovare un modo di suonare senza sprecare troppe energie». Cambiando chitarra, Lage non cambia solo suono, cambia proprio la creazione musicale.

Spettatore di se stesso

Spostando l’attenzione dalla chitarra alle dita, l’atteggiamento di Julian non cambia: si lascia stupire dalla musica, quasi non fosse lui a suonarla e comporla, ma fosse un ascoltatore. «Molto di quello che faccio è guidato dalla curiosità chinestetica di esprimere nel modo migliore possibile quello che il tuo corpo vuole fare», ha spiegato. «Cosa succede se non governo le mia dita? Se inizio a suonare senza preoccuparmi del gusto, ma mi limito a guardare come vanno le cose?».

Certo, per arrivare al punto che la musica esca da sola, servono tonnellate di esercizio e studio. Il pianista Kenny Werner, nel suo Effortless mastery, invita i musicisti a entrare in uno “spazio” dove la musica non è pensata, ma semplicemente suonata, istintivamente. Il punto è che all’istinto servono strumenti adeguati per esprimersi: la maestria di Lage (come quella di Werner) è quella di avere una capacità tecnica e una conoscenza musicale tale da permettere alle loro dita di esprimere ogni idea musicale, prima che questa diventi cosciente.

Quattro dita per tre note

Elemento caratteristico dello stile musicale di Lage è l’uso delle triadi, pattern di tre note utilizzati sia armonicamente sia melodicamente nei soli. Il vantaggio è matematico, spiega Julian: «In questo modo i chitarristi hanno quattro dita a disposizione per muoveri in un mondo di tre note. Mi piace questa instabilità. Probabilmente è la più grande caratteristica del mio stile, le cose non finiscono, lascio sempre sospeso il finale di una frase. Ho sempre un dito libero, e con quello posso iniziare una nuova frase».

E stupirsi della nuova frase, che ne chiama un’altra e via così.

Felice della sua musica

Basta guardarlo suonare, Youtube (sia lodato!) è pieno di video che lo riguardano, per capire quando Julian Lage sia dentro la sua musica. Con la chitarra in mano è sempre sorridente, genuinamente felice di sentire la musica che stanno suonando le sue dita e i compagni che lo accompagnano.

Tornando alla domanda iniziale: cosa rende unico e riconoscibile Julian Lage?

Sicuramente è un musicista che sfugge alle classificazioni musicali (ammesso che queste abbiano senso): jazz, fusion, un po’ di country… Non è un chitarrista fedele a un suono specifico dello strumento, ama cambiare quasi a ogni progetto il set con sui incidere o esibirsi. Ha un fraseggio in continua evoluzione e un repertorio che spazia dagli standard, alle canzoni pop rivisitate (per esempio la versione di In Heaven da Eraserhead di David Linch). Quello che lo rende riconoscibile, forse, è il suo modo, mentre suona, di raccontare la musica, come uno scrittore che può raccontare ogni storia, ma il suo stile si percepisce in ogni pagina.

 

 

In questo video Julian Lage suona We’ll Meet Again con la sua Telecaster del 1954. Si nota l’uso delle triadi come tecnica melodica e armonica.

 

 

In duo con Gary Burton, suo maestro.

 

Un’esibizione con Chris Eldrige, la gioia di far cantare le Martin acustiche.