Dove sarebbe arrivata Emily Remler, “la ragazzina con il pollice di Wes Montgomery”, se non fosse morta a soli 32 anni, il 4 maggio 1990?
Critici e musicisti jazz sono oggi tutti d’accordo nel considerare la chitarrista americana un’artista tra le più grandi del suo strumento. Herb Ellis, che l’ha conosciuta quando era ancora poco più che una ragazzina, nel 1982 si è sbilanciato: «Mi hanno chiesto così tante volte chi sono i chitarristi che stanno portando avanti la tradizione: la mia scelta è Emily».
Nella manciata di album e registrazioni che ha lasciato nella sua carriera lampo, durata una decina di anni, è chiaro che Emily Remler era in piena evoluzione artistica quando è stata stroncata da un attacco di cuore, conseguenza della sua dipendenza da droghe.
Ha iniziato come grande interprete bebop, con un piglio blues, una tecnica e una voce strumentale costruite imitando il suo mito: Wes Montgomery. Poi si è lasciata ispirare dalla musica latina, imparata sul campo, in tournée con Astrud Gilberto, ha approfondito i poliritmi, (qui un approfondimento sull’uso dei poliritmi nell’improvvisazione) ha via via superato la tradizione acquisita negli anni della formazione, in costante ricerca della sua musica.
La ragazzina con il pollice di Wes
«Posso sembrare una ragazzina carina del New Jersey. Ma dentro sono un uomo nero ben piazzato di 50 anni con un gran pollice, come Wes Montgomery», così Emily Remler si descrive a People nel 1982, vedendosi come “La ragazzina con il pollice di Wes”. Wes Montgomery è stato il suo idolo fin da quando ha iniziato a studiare chitarra, prendendo in prestito la Gibson 330 del 1960 di suo fratello (nella foto a sinistra, dopo essere stata recentemente restaurata dagli attuali proprietari). Un prestito diventato a vita.
Memoria prodigiosa
Nata il 18 settembre 1957, Emily si è avvicinata alla chitarra per caso, quando i genitori, non musicisti, hanno regalato al fratello una Gibson per incoraggiarlo a suonare. La sorellina di 10 anni, incuriosita, ha iniziato a usarla per suonare da autodidatta le canzoni che sentiva in radio. A sedici anni la svolta. Nel momento di decidere che cosa fare dopo le superiori, Emily è indecisa tra una scuola d’arte e una musicale. Mentre cerca di capire che strada seguire, segue un corso estivo dove ascolta musica indiana e scopre un talento che non sapeva di avere: «Potevo cantare tutte le parti dei dischi di Ravi Shankar che ascoltavo, comprese le improvvisazioni. Ho scoperto di avere una buona memoria per la musica».
Dopo l’estate viene accettata nel rinomato Berklee College of Music, praticamente il Conservatorio più famoso del mondo. E qui conosce il Jazz: si innamora di Paul Desmond, poi di Pat Martino, infine di Wes Montgomery: «Passava un sacco di tempo a studiare la tecnica del pollice di Montgomery, e anche le sue ottave», racconta Steve Masakowski, allora fidanzato di Emily.
Tempo debole
Uno dei punti di forza riconosciuti alla Ramler è il suo senso del tempo, il feeling con cui riesce ad accompagnare e improvvisare con estrema precisione ritmica e uno swing coinvolgente. Una dote naturale? Forse, ma anche il frutto di durissimo esercizio. Mentre è ancora alla Berklee, un insegnante le dice duro e spietato che non è precisa, che corre troppo sul tempo.
Ferita, ma orgogliosa, Emily reagisce trasformando il metronomo nel suo costante compagno di studi.
Un esercizio tipico della Remler è questo: il metronomo fissato su un tempo lento (60 bpm), ogni click vale due battiti: in questo modo è come se si suonasse in 4/4 a 120 bpm.
Poi si inizia a suonare, contando il tempo da 2, così che i click cadano sui tempi deboli: un modo molto efficace per interiorizzare il tempo, per fare proprio lo swing. Almeno, con la Remler ha funzionato alla grande.
Dopo la scuola, arriva la strada
Finita la scuola, Emily ha 18 anni, un bagaglio di conoscenze teoriche solidissimo, ma non si sente ancora una buona musicista. «Non suonavo tanto bene, ma avevo una gran conoscenza di accordi e teoria. Berklee mi è servito per la teoria, l’armonia e l’ear training», ha detto la Remler. «Tutto quello che so sul lavoro, l’ho imparato dopo, quando mi sono trasferita a New Orleans».
Nella città culla del Jazz, Emily inizia a guadagnarsi da vivere con la musica. Dà lezioni, suona in pubblico in ogni occasione che trova, si mette deliberatamente in situazioni che la spingono a dare il massimo e a migliorarsi. Fa di tutto per incontrare quanti più musicisti può. Tra questi, nel 1978, incrocia Herb Ellis (qui Emily suona Blues for Herb in chitarra solo), che le procura un lavoro in California.
L’inizio della fine
Un anno dopo l’incontro con Ellis, la Remler è lanciatissima. Ha chiuso la sua relazione con Masakowski, e si sta facendo rapidamente un nome tra i jazzisti. Ma contemporaneamente è attratta dalle feste, dal mondo scintillante, dagli eccessi. Alla fatica comune a tutti i giovani musicisti che provano a farsi strada, aggiunge il fatto di essere donna: «Così tanti leader di gruppi mi hanno detto in faccia che non potevano assumermi perché ero una donna».
Uno stimolo in più per l’orgogliosa Emily, che qualche anno dopo dice: «Quando suono, non so se sono una ragazza, o un ragazzo, un cane, un gatto o altro. Sto solo suonando. Quando scendo dal palco, è lì che la gente mi ricorda che sono una donna». La discriminazione la accompagnerà fino alla fine: «È un loro problema, non mio», dice, ma contemporaneamente deve fare i conti con le gelosie di colleghi uomini.
Fascino latino
In pochissimo tempo però il talento e lo studio danno i loro frutti. La Remler accompagna la cantante Astrud Gilberto (con la quale si avvicina alla musica latina), inizia a registrare come chitarrista in album di altri, e infine anche a nome suo. Il primo è Firefly, del 1981, lo stesso anno in cui si sposa con i pianista giamaicano Monty Alexander. La critica la ama, i musicisti sono affascinati. Tre anni dopo arriva Transition, un titolo evocativo. Emily si concentra più sulla composizione e si allontana dalla tradizione bebop che ha segnato gli anni della formazione. Nel 1985 esce Catwalk, il primo che contiene solo brani originali, con ispirazioni e poliritmi presi dalla musica latina, brasiliana e indiana.
Vette e abissi
«Emily era creativa, brillante, swingava come una pazza e aveva un senso del tempo che era tra i migliori che avevo mai sentito tra i chitarristi, uomini o donne», commenta Larry Corryell ricordando quando aveva sentito la giovane chitarrista. Un’ammirazione che diventa un album in duo, Together (del 1985) un tour insieme, e anche una breve relazione. Emily divorzia da Monty Alexander e il periodo di difficoltà emotiva si somma alla dipendenza dall’eroina.
Le ultime note
Gli ultimi anni sono frenetici. Traslochi da una città all’altra, serate in locali, concerti, dischi. Tra questi East to Wes (1988), il tributo al suo mito Wes Montgomery. Sperimenta anche Emily, con l’elettronica che stava emergendo, usa una guitar synth. L’ultimo disco che incide è del 1990, e si intitola This is me. Questa sono io. Più che un disco un testamento. Pochi mesi dopo muore, stroncata da un attacco al cuore mentre è in tournée in Australia, distrutta dalla droga.
Dove sarebbe arrivata la ragazzina con il pollice di Wes se non fosse morta a soli 32 anni?
Seguendo questo link potrai ascoltare un’inedita registrazione di Emily Remler e il grandissimo Ted Greene
Qui invece Emily Remler esegue D-natural blues di Wes Montgomery in solo
[…] frugare si trovano veri gioielli. Per esempio una jam con Emily Remler, registrata negli Anni Ottanta, forse a casa di Ted. si sentono scherzare, ridere, chiacchierare, e […]