Bastano pochissime note per riconoscere il tocco unico del pollice di Wes Montgomery sulla chitarra. Quel suono caldo, avvolgente, ma al tempo stesso preciso, mai stucchevole che è stato il tratto distintivo della chitarra jazz dagli anni ’50, ’60 e per alcuni versi ancora lo è, grazie ai molti che a Wes si sono ispirati: George Benson su tutti, ma anche Pat Metheny (che ha definito Smokin’ at the Half Note il miglior album della storia della chitarra jazz), Larry Coryell, Russell Malone, per citarne solo qualcuno. Un’impronta sulla chitarra jazz tanto profonda da costringere ogni chitarrista a confrontarsi con Wes Montgomery, al limite anche solo per allontanarsi in cerca di nuovi registri espressivi: impossibile trascurarlo.
Il momento della svolta
Nei primi mesi del 1960, Wes Montgomery registra The incredible jazz guitar of Wes Montgomery, l’album che segna la svolta nella sua carriera. Improvvisamente, diciotto anni dopo la scomparsa di Charlie Christian, la chitarra trova un nuovo artista capace di metterla in primo piano nella scena del jazz contemporaneo, quello di Miles Davies, e di John Coltrane.
The incredible jazz guitar of Wes Montgomery, registrato con con Tommy Flanagan al piano, Percy Heath al basso e Albert Heath alla batteria, fece conoscere Montgomery al mondo, ma quando il chitarrista lo incise aveva già 34 anni, e una solidissima gavetta alle spalle, nonostante avesse iniziato a suonare la chitarra solo a 20 anni (qualcuno dice 19, ma cambia poco), relativamente tardi per un talento brillante come il suo.
Col pollice per non disturbare la moglie
John Leslie Montgomery nasce il 6 marzo 1925, a Indianapolis. Si racconta che il suo incontro con la chitarra arriva per caso. Appena sposato con Serene, si guadagnava da vivere lavorando sodo come saldatore. Una sera, per caso, mentre è in un locale con la moglie, qualcuno mette su un disco: Solo Flight dell’orchestra di Benny Goodman con Charlie Christian alla chitarra. Una folgorazione per Wes: ecco cosa vuole fare, suonare come Charlie Christian. Compra una chitarra e un amplificatore e si mette sotto a studiare nota per nota le melodie e gli accompagnamenti di quello che è improvvisamente diventato il suo idolo. Di giorno continua ad ammazzarsi di lavoro in officina, di notte prende la chitarra, e per non disturbare la moglie e i vicini, lascia da parte il plettro e suona con il pollice. Una necessità diventa così il suo marchio distintivo.
Tra ottave e saldature
Inizia a esibirsi in piccoli locali della zona, in molti apprezzano il fenomeno capace di suonare come Charlie Christian. Cinque anni dopo, la prima occasione: lo nota il vibrafonista Lionel Hampton e lo ingaggia nel suo gruppo (qui un rarissimo video del 1949, con Wes nell’orchestra di Hampton). Per due anni gira il Paese, sempre in auto perché ha paura dell’aereo. Incontra musicisti famosi, impara molto, arricchisce il suo stile e il suo vocabolario musicale, non è più solo l’imitatore di Christian. Ma i soldi non bastano. La famiglia è cresciuta, e per mantenere la moglie e i sei figli Wes torna a Indianapolis e riprende a lavorare in fabbrica.
Buona la seconda
Di nuovo, il giorno si spezza la schiena in officina, la notte si dedica alla musica, suonando in locali della zona, soprattutto al Missile Club, alle volte intrattenendosi in jam session che durano fino all’alba. Nel 1959 arriva la seconda occasione, ed è quella buona. La fama di Wes è solida, così quando il sassofonista Cannonball Adderley, allora membro del sestetto di Miles Davies con John Coltrane (Kind of Blue è del 1959, e il suo assolo su So What è inciso nella storia del jazz! qui una trascrizione) passa in zona, lo va a sentire. Il talento di Montgomery fa centro. Adderley lo segnala alla casa di produzione di Riverside che lo mette sotto contratto. Inizia subito a registrare dischi, diventa un professionista apprezzato, il successo arriva. I soldi meno.
Fine prematura
La situazione finanziaria migliora definitivamente solo dopo 1964, quando fallisce la Riveside, e Wes passa alla Verve, per la quale inizia a registrare anche con accompagnamenti orchestrali di archi. I puristi storcono il naso, ma il pubblico apprezza parecchio e i dischi schizzano in vetta alle classifiche di vendita. Montgomery non si preoccupa più di tanto: con gli archi o in formazioni ridotte, il suo pollice continua a stupire. Fino al 15 Giugno del 1968, quando lo uccide un attacco di cuore, mentre è al massimo della sua carriera, splendente e troppo corta.
La sua tecnica
«Il suo suono morbido ottenuto usando il pollice al posto del plettro per pizzicare le corde, il fraseggio sempre melodico anche nei brani più veloci, un senso dello swing meraviglioso, l’uso magistrale delle ottave e delle improvvisazioni ad accordi sono i tratti distintivi della maestria di Wes Mongtomery. L’utilizzo di questi tre registri espressivi (note singole, ottave, accordi) gli permette di rendere i suoi assoli dei veri e propri arrangiamenti, capaci di mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore più che mai. Un maestro per tutti noi chitarristi», così Manuel Consigli, l’anima di questo sito, che si pone anche una domanda centrale sul sorriso di Wes, qui.
Qui l’analisi armonica di “The days of Wine and Roses”.
La sua chitarra
Wes Montgomery ha suonato praticamente sempre la Gibson L-5 CES. Il modello studiato appositamente per lui aveva però un solo pickup, al posto di due: il suono di Wes è caldo e rotondo, non gli serve altro.
Dicono di lui gli altri chitarristi
«Non c’è mai stato un chitarrista migliore di Wes Montgomery». B.B. King prima di un concerto a Indianapolis, la città di Wes
«Smokin’ at the Half Note è assolutamente il miglior album di chitarra jazz mai registrato. Ed è il disco che mi ha insegnato come suonare». – Pat Metheney
Da ascoltare
Smokin’ at half note, l’album preferito di Pat Metheny
Blue ‘n’ boogie, che per alcuni contiene il miglior solo registrato da Wes Montgomery
Four on six
Round Midnight
Semplicemente il papà dei chitarristi.meravigkia!
Vero, almeno per i chitarristi jazz! Grazie Maurizio!
[…] bebop, con un piglio blues, una tecnica e una voce strumentale costruite imitando il suo mito: Wes Montgomery. Poi si è lasciata ispirare dalla musica latina, imparata sul campo, in tournée con Astrud […]
[…] portava spesso il figlio ad ascoltare i grandi musicisti che passavano a suonare in zona, compreso Wes Montgomery, un mito per tutti i chitarristi. Les Paul, altro nome che sta nell’Olimpo della chitarra […]