Il nuovo sorriso nella chitarra jazz ha il nome di Jocelyn Gould, giovane musicista canadese che ha appena pubblicato il suo album di debutto: Elegant Traveler. Dieci brani che sono davvero un viaggio elegante nella musica. Jocelyn ha un suono limpido e accogliente, sia quando suona in gruppo, sia quando è in solo, un fraseggio di chiara ispirazione be bop che cita i grandi chitarristi del passato (tre nomi su tutti: Wes Montgomery, Kenny Burrell e Joe Pass), ma senza cadere nella pura imitazione.
Per sapere di più di lei, l’abbiamo contattata nel suo appartamento di New York dove sta passando questo tempo sospeso a causa del Covid-19.
Jocelyne, qual è la tua “via della chitarra jazz”? Da dove vieni?
«Sono cresciuta in una famiglia di musicisti. Da che ho memoria, ho sempre amato la musica. La prima passione che ricordi è quella per il canto, mi piaceva cantare nei cori e fare musical. Mio padre era un insegnante di musica e mi ha insegnato a suonare il piano. Ho iniziato a studiare la chitarra da autodidatta quando avevo 13 anni, suonavo le canzoni di Joni Mitchell e Neil Young. Da adolescente ero ossessionata dalla chitarra, e trascorrevo tutto il tempo libero nella mia cameretta cercando di rifare le canzoni che mi piacevano. Dopo il diploma, mi sono iscritta all’università, puntavo a una laurea in scienze, ma non ero felice. Ho scoperto che quello che davvero volevo era dedicarmi alla musica. Così ho deciso di cambiare, ho fatto un test per accedere al corso musicale della mia università locale, la Michigan State Universitye, e sono stata presa».
Quindi un percorso che non è iniziato prestissimo.
«Ho iniziato veramente a studiare chitarra quando avevo 19 anni. All’università ho davvero scoperto chi volevo essere musicalmente, e il tipo di chitarra che volevo suonare. Ho comprato una chitarra archtop e mi sono immersa nella musica di Wes Montgomery, Kenny Burrell e Joe Pass. I miei anni in Michigan sono stati cruciali per il mio sviluppo come chitarrista».
E dopo l’università?
«Dopo la scuola in Michigan, alla fine del 2018 mi sono trasferita a New York City e ho iniziato ad affacciarmi sulla scena musicale. È stato un momento molto emozionante per me: New York è un sogno diventato realtà. È un posto molto eccitante, pieno di musicisti con cui incontrarsi e suonare. Mi è capitato di trovarmi a un festival, ed ero seduta al bar tra Russell Malone e Peter Bernstein, due tra i migliori chitarristi jazz oggi in circolazione. E ho pensato: “Wow, sono al bar con loro, conoscono il mio nome, e stiamo parlando di chitarra…”. Può succedere solo a New York. Di recente ho anche iniziato a lavorare come capo del Dipartimento di chitarra all’Humber College di Toronto, un’altra grande sfida. Prima che il Coronavirus bloccasse tutto, continuavo a viaggiare avanti e indietro da New York».
Da dove vieni è chiaro, dove stai andando lo sai?
«Il mio obiettivo è essere una grande chitarrista bebop, essere super swing e avere il pieno controllo del blues. Mi piacerebbe essere in grado di trasmettere qualsiasi emozione che voglio con lo strumento, dalla gioia alla tristezza alla rabbia. In definitiva, voglio essere in grado di esprimermi sullo strumento nella tradizione della chitarra jazz».
Chi sono i tuoi eroi musicali?
«Sono tanti, alcuni che conosco personalmente e altri che sono morti prima che nascessi. I miei eroi storici della chitarra sono i grandi che ho citato prima Wes Montgomery, Kenny Burrell, Joe Pass e Grant Green. I miei eroi viventi sono i maestri che hanno avuto il tempo di insegnarmi la musica: Randy Napoleon, il mio mentore all’università, e Russell Malone, e il bassista Rodney Whitaker, sono musicisti che ammiro molto».
Tutti uomini, perché ci sono così poche donne che suonano jazz? E le chitarriste sono ancora meno …
«Vorrei che ce ne fossero di più! Sento che le cose si stanno lentamente muovendo nella giusta direzione, ma non abbastanza velocemente. È vero che ci sono così poche chitarriste femmine rispetto ad altri strumenti, e immagino che ciò abbia a che fare con la cultura della chitarra che è molto maschilista. Come donna, ho pochissimi modelli femminili sul mio strumento. Uno dei miei obiettivi come chitarrista è di aiutare a cambiare questo schema. Quando avrò finito, voglio che la community della chitarra sia composta per il 50 per cento da donne».
Hai detto che all’università hai comprato una chitarra archtop per fare jazz. Il tuo primo strumento te lo ricordi?
«Per i primi cinque anni ho suonato una vecchia chitarra classica di mia madre. Non avevo abbastanza soldi per comprarne un’altra, e neanche mi importava molto in realtà: ero felice di suonare la sua vecchia chitarra malconcia. Quando ho compiuto 18 anni, mia madre mi ha comprato la mia prima chitarra, una acustica della Yamaha. Ero così entusiasta di avere uno strumento tutto mio. Un anno dopo ho preso la mia prima chitarra elettrica, una Gibson 359. E quando ho scelto di suonare una archtop, ho comprato una Eastman. Dallo scorso luglio sono diventata un’artista Benedetto Endorsed e ora suono una Benedetto 16-B».
Il tuo suono è estremamente pulito, come lo ottieni?
«Per me, il mio suono ha molto più a che fare con come sto suonando, piuttosto che con quale strumento sto suonando. Certo, avere una straordinaria chitarra mi aiuta a suonare bene, ma anche con uno strumento incredibile la tecnica è fondamentale. Mi impegno moltissimo per ottenere il miglior suono possibile sulla chitarra prima ancora di collegarla all’amplificatore. Mi esercito facendo molte scale, molto lentamente per cercare l’angolo migliore con cui pizzicare la corda con il plettro, preparare la nota, sostenere il suono, ecc. Suono in modo che la parte posteriore della chitarra non tocchi il mio corpo, così il suono dello strumento non viene attutito».
Come hai scelto la chitarra che suoni ora?
«Cercavo ua chitarra che potesse aiutarmi a ottenere il suono che voglio. La mia Benedetto inoltre è una chitarra con cui non smetterò di crescere: c’è così tanto per me da migliorare per arrivare al livello dello strumento… Penso che avere un buon strumento sia importante, se puoi scegliere».
E dell’amplificatore che mi dici?
«Ho un paio di amplificatori Henriksen che uso nei concerti, e un Fender Deluxe Reverb, che è un amplificatore molto usato. A me interessa che il suono della chitarra arrivi il più fedele possibile, chiaro e pulito».
È quello che si sente nel tuo album, Elegant Traveler.
«Sono così orgogliosa del mio album di debutto! Per me è così eccitante avere la mia musica là fuori, e sentire che piace alla gente! Ero così onorato di avere i musicisti che avevo nella mia band e ho provato a scrivere musica che rappresentasse me stessa, la mia esperienza e dove volevo andare come musicista».
Sei giovane, sia anagraficamente, sia come musicista. Dove vorresti essere tra 10, 20 o 30 anni?
«Ci sono molte cose che vorrei ottenere come musicista. Alla fine, quello che mi eletrizza è viaggiare e suonare per le persone. Questo è il mio obiettivo finale. Come musicista, voglio continuare a migliorare e continuare a cercare di raggiungere il livello dei maestri di questa musica, che è una ricerca permanente».
In questi giorni, metà del mondo è chiuso in quarantena, i viaggi sembrano qualcosa di lontano… Stai suonando molto mentre sei costretta a casa?
«Suonare è sicuramente un conforto in questi giorni. Sto esplorando lo strumento in modo creativo, sempre alla ricerca del modo di esprimere le mie emozioni con lo strumento. Senza show per cui prepararmi, sto trovando molto più tempo per lavorare sugli aspetti più astratti della musicalità. Questo per me è terapeutico, ed è davvero utile per elaborare tutto ciò che sta accadendo nel mondo».
Come ti prepari per suonare? Hai una routine personale? Esercizi di riscaldamento? Meditazione? Uno sguardo alle progressioni di accordi? …
«Mi preparo per suonare semplicemente suonando la chitarra. Adoro sedermi con la chitarra e suonare e vedere dove la mia creatività può portarmi. Ho anche una routine di esercizi che seguo regolarmente».
Come ti prepari invece per entrare nel giusto mood per uno spettacolo?
«Ascoltando la musica che amo con la band con cui suonerò. Sulla strada per il concerto o nel backstage, ascoltare i miei dischi preferiti con la mia band mi porta nello spazio mentale per provare a creare musica con i miei compagni al più alto livello possibile. Ascoltare come i musicisti delle mie band preferite si elevano a vicenda mi fa venir voglia di fare del mio meglio per creare gli stessi sentimenti».
Hai uno “spazio mentale” in cui ti senti bene quando suoni?
«Mi piace sorridere ai membri della mia band quando sono sul palco, perché mi rilassa e mi ricorda che siamo tutti insieme in una squadra. Mi piace provare a creare uno spazio mentale positivo per le mie esibizioni e il mio modo di suonare, perché mi permette di divertirmi, cosa che penso rende il mio modo di suonare migliore».
Sei “il nuovo sorriso nella chitarra jazz”, suoni bene perché sorridi o sorridi perché ti senti bene quando suoni?
«Entrambe le cose! Quando ho iniziato a suonare la chitarra, soffrivo di una brutta ansia da prestazione. Poi ho scoperto che permettermi di sorridere sul palco mi aiuta a rilassarmi, a divertirmi, e mi ha mette in uno spazio mentale positivo. Sorridere mi ha aiutato a superare l’ansia da palcoscenico, e non ho più smesso di farlo! Mi piace anche molto entrare in contatto con i musicisti della mia band e il pubblico, e mostrare quanto mi fa gioire la musica. Suonare è davvero la cosa più gioiosa, e quindi penso che abbia senso sorridere».
Scrivi un commento