Kenny Burrell fa parte di quell’ondata fenomenale di chitarristi jazz che invade l’America, e il mondo, alla fine degli Anni Cinquanta: nasce a Detroit, 31 luglio 1931, otto anni dopo Wes Montgomery, solo sei mesi dopo Jim Hall, e quattro anni prima di Grant Green. Tra tutti è forse quello meno conosciuto al pubblico, nonostante al suo attivo si contino un centinaio di dischi firmati come leader e qualche centinaio come sideman. Ancora oggi, a 87 anni, si esibisce in pubblico con il suo trio. Quindi, c’è il talento, ci sono la sensibilità musicale e la tecnica strumentale riconosciuta da ogni musicista, ci sono le occasioni per dimostrarlo: perché non è famoso quanto altri?
Fa sembrare facile suonare con Coltrane
Impossibile dare una risposta certa. Probabilmente la musica di Burrell non è sorprendente e innovativa come quella di altri. Difficile d’altro canto arrivare subito dopo Charlie Christian e praticamente in contemporanea con Wes Montgomery (del quale era amico, e al quale prestò la chitarra per la registrazione del suo primo disco), i papà della chitarra jazz moderna. Forse, la sua personalità non riempie la scena come quella di altri. Forse, più semplicemente, a Kenny Burrell non importa essere una star quanto gli preme fare musica. «A Kenny interessava più essere dentro la musica, nella band, che essere il solista della band», ha spiegato Pat Metheny. «Lui fa sembrare facile sedersi lì come chitarrista e unirsi a John Coltrane, Stanley Turrentine e una lunga lista di suoi contemporanei. Come spettatore non ti rendi conto di quanto sia difficile farlo, e questo è la dimostrazione di quanto evoluto sia come chitarrista».
Basta ascoltarlo accompagnare Coltrane in Why Was I Born, per capire cosa intende Metheny.
Uno stile composto ed elegante
Abbronzato, capelli ricci che sono via via imbiancati copertina dopo copertina, l’immancabile giacca: Kenny Burrell è sempre stato un uomo elegante, nell’aspetto quanto nel suo stile. La sua chitarra, anche quando era un giovane ventenne è sempre stata misurata, mai eccessiva, linee melodiche, accordi, tono accompagnano l’ascoltatore in un mondo di eleganza e gusto. «Le cose più importanti per me nella musica sono la profondità del sentimento, l’onestà, l’individualità e la connessione spirituale», ha detto nel 1996. Quindi niente fiumi di note ed esuberanze tecnicistiche per stupire, le influenze bebob si sentono nel fraseggio, ma nell’intenzione predomina il blues: la chitarra di Burrell racconta l’anima di chi suona e fa risuonare lo spirito degli ascoltatori.
Grazie mamma Burrell
Nato in una famiglia di musicisti, il piccolo Kenny voleva suonare il sassofono, ma nel negozio di strumenti non ne ha trovati a prezzi raggiungibili (nei primi anni quaranta l’ottone era tutto utilizzato per costruire armi per la guerra), così la madre ha ripiegato per acquistargli una chitarra. A vent’anni era già un chitarrista affermato e ha fatto il suo debutto in sala di registrazione, con il mitico trombettista Dizzy Gillespie. A 25 il suo debutto come solista con la Blue Note, diventando di fatto il chitarrista di riferimento della prestigiosa etichetta. Conosce i più grandi jazzisti dell’epoca: Sonny Rollins, Stan Getz, Gil Evans, Billie Holiday, John Coltrane, Benny Goodman, Oscar Peterson… suona per loro e con loro.
Insegnante per missione
Negli Settanta si trasferisce a Los Angeles e inizia a insegnare alla Ucla (University of California Los Angeles). Prima con un singolo corso su Ellington, intitolato Ellingtonia, poi via via più coinvolto nell’insegnamento fino a diventare fondatore e direttore dei corsi di jazz fino 2016: «Quando frequentavo la Wayne State University negli Anni 50», ha detto Burrell, «era un problema studiare jazz, anche parlarne era un problema in certi casi. Così ho deciso che se ne avessi avuto l’occasione, avrei insegnato jazz».
Quest’anno compie 88 anni, si trova in difficoltà per una malattia e alcuni problemi finanziari. La moglie ha lanciato una raccolta fondi per sostenere le spese mediche ed evitare il pignoramento della casa. Intanto, Burrell sta ultimando la sua autobiografia, la storia di una vita che ha percorso a braccetto gran parte della storia del jazz stesso.
La sua chitarra
Per la maggior parte della sua carriera, Burrell ha usato chitarre Gibson: prima ES-175 (come Charlie Christian) e L-5 e L-7. Il modello che però è più associato a lui è la Super 400, collegata a un ampli Fender Deluxe che esalta i toni medi: «Mi piace un suono grosso e caldo, così chiudo gli alti, metto i bassi a metà e spingo i medi».
«Ho avuto due Super 400 negli anni», ha detto Burrell in una lunga intervista a Vintage Guitars. «Entrambe avevano due humbucker e il Florentine cutaway. Ho trovato la mia chitarra principale in San Diego tanti anni fa. Gironzolavo in un negozio, forse per comprare delle corde, e l’ho vista. Era degli Anni Sessanta, ottima. Ne avevo un’altra all’epoca, ma quella è diventata il mio strumento principale. Prima avevo una Super 400 venetian cutaway con un pick up DeArmond, come la mia D’Angelico».
Come ogni chitarrista, Burrell ha customizzato il suo strumento: «Regolo l’action al ponte per avere le corde più basse nel lato delle basse. E ho sistemato della gommapiuma nel corpo, nella F alta, coperta da un tappo, per smorzare il feedback. Infine ho avvitato un piccolo pezzo di plastica per fissare il ponte al top. Qualche volta suono forte, e il ponte si muove un po’».
Cosa ascoltare
Difficile fare una selezione nella vastissima produzione di Kenny Burrell. Questo è più un consiglio per iniziare, in ordine cronologico, poi sta a ciascuno scegliere come proseguire l’ascolto
Introducing Kenny Burrell (Blue Note, 1956)
Kenny Burrell (Prestige 1957)
Kenny Burrell and John Coltrane (Prestige, 1958)
A Night At the Vanguard (Argo, 1959)
Midnight Blue (Blue Note 1963)
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