John Stowell – L’arte del silenzio che canta
C’è una musica che non ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. Una musica che sussurra, che respira, che si insinua tra le pieghe del tempo con la grazia di chi conosce il valore del silenzio.
John Stowell non afferma, non impone: suggerisce. E il suo modo di suonare la chitarra è un invito alla sospensione, un gesto gentile nel caos del mondo, un percorso di raffinata essenzialità.
Nato il 30 luglio 1950 a New York, cresciuto nel Connecticut, inizia giovanissimo a studiare chitarra con Linc Chamberland e armonia con il pianista John Mehegan. Fin dai primi anni, la sua direzione appare chiara: esplorare lo spazio tra jazz, impressionismo e poesia. A differenza di molti suoi coetanei, Stowell non cerca di impressionare con la velocità, ma di parlare al cuore con profondità.
Il suo stile si sviluppa all’insegna dell’ascolto e della libertà. Tiene la chitarra quasi verticale, come un violoncello, per facilitare l’accesso a voicing complessi. I suoi accordi si muovono come onde, i fraseggi si intrecciano in una danza discreta. Si percepisce l’influenza dei pianisti e dei fiati, più che dei chitarristi tradizionali. Stowell è il Bill Evans della chitarra jazz.
Negli anni ’70 incontra il contrabbassista David Friesen: inizia così un sodalizio artistico destinato a durare decenni. I due si esibiscono in tutto il mondo, incidono dischi, esplorano territori armonici e spirituali. Nel 1983, con Friesen e Paul Horn, Stowell è tra i primi jazzisti americani a esibirsi nell’Unione Sovietica dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un gesto musicale e simbolico.
La lista dei suoi collaboratori è lunga e significativa: Dave Liebman, Michael Zilber, Frank Haunschild, Uwe Kropinski. Ma ciò che colpisce non è la quantità di nomi, bensì la qualità della musica che scaturisce da ogni incontro. Stowell non si impone, si intreccia.
Anche nella didattica ha lasciato un segno profondo. Ha pubblicato Jazz Guitar Mastery (2005) e tiene masterclass in tutto il mondo. Il suo approccio pedagogico è simile al suo suonare: incoraggia a sviluppare una voce personale, a pensare come compositori anche quando si improvvisa, a valorizzare il silenzio tanto quanto il suono.
Ascoltarlo oggi è un’esperienza necessaria. In un’epoca rumorosa, Stowell ci ricorda che la delicatezza è una forza. La sua musica insegna a fermarsi, ad ascoltare, a lasciarsi toccare. E a capire che tra due note ben scelte, c’è un mondo.
Discografia essenziale
- Through the Listening Glass (1978, con David Friesen)
- The Banff Sessions (1998, con David Friesen)
- Solitary Tales (2009)
- Scenes (2001, con John Bishop e Jeff Johnson)
- Rain Painting (2013, con Ulf Bandgren)
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A cura di Manuel Consigli
per La Via della Chitarra Jazz
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